Manca solo un mese al 12 Maggio quando saranno 100 anni dalla nascita di Don I ed è giunto il momento di raccontare qualcosa su di lui, fondamentale per tutti coloro che hanno a cuore la storia di Monteleco ma indubbiamente ricchezza che appartiene a tutta la diocesi.
La sua figura può certamente essere un segnale, una direzione per pensare la figura del prete del futuro. La sua Biografia la stanno costruendo a poco a poco e sarà pronta a settembre. Io ve lo racconterò attraverso alcuni particolari di Don I che tutti noi conosciamo.
I suoi occhi azzurri; li ho sempre un po’ abbinati allo stile genovese incarnato da Govi di grandi occhi, quasi spalancati a guardarti dritto dritto negli occhi; il suo azzurro ci ricorda che Don I fu prete che seppe indicare il cielo come orizzonte. Mi ha inculcato una enorme fiducia nella Provvidenza sapendo vedere ovunque la presenza provvidenziale di Dio. Talvolta persino infantile nel suo abbandonarsi nelle mani dell’amore misericordioso di Dio, ma così efficace nei suoi racconti. Don I tutto riferiva a Dio e di Lui ti parlava. Ma i suoi occhi azzurri erano anche indice di un’altra caratteristica fondamentale di don I: la capacità di parlarti guardandoti dritto negli occhi. Se don Ga era l’abbraccio che ti accoglieva una volta sceso dalla corriera partita da piazza della Vittoria, don I era la prima persona del Leco che incontravi su quella corriera, che all’epoca sembrava portarti chissà dove, passando da Gavi, attraverso percorsi che parevano impervi e alpini. Appena partita la corriera don I non stava seduto ma andava avanti e indietro chiedendoti il nome e naturalmente la parrocchia da cui provenivi. Nessuno escluso. Faceva tutti e cinquanta i ragazzi del pullman. Ti guardava dritto negli occhi e ti chiedeva il nome. Non eri un signor nessuno. Avevi una identità anche se avevi 11 o 12 anni. E chi chiede il nome a un ragazzino? Solo il maestro o il professore che fa l’appello. Lui si interessava davvero a te. E lo mostrava con questa semplice pratica. E il tuo nome non se lo scordava più. La tua identità cresceva grazie a un adulto per il quale eri qualcuno, eri importante. Cosa vedi quando guardi? Recitava uno slogan di Caritas molto in uso a Monteleco. Lui vedeva in te un figlio di Dio, prezioso, unico, irripetibile e ti portava a credere in te stesso.
El portava le Scarp del Tennis, cantava Enzo Iannacci; chi può scordare le superga basse eternamente portate almeno a Monteleco da Don I? Il biancore delle calzature emergeva brillante sotto la polverosa tonaca nera, e se per noi ragazzini era “normale” un po’ perché lo avevamo sempre visto così, un po perchè erano le stesse scarpe che portavamo noi, per gli adulti del tempo era una cosa bizzarra. Quelle scarpe del tennis mi hanno sempre raccontato almeno tre cose: la vicinanza che don I voleva mostrare ai ragazzi mettendosi una calzatura che anche loro portavano; la strada che lui voleva percorrere con i più giovani non solo coi piedi ma con lo spirito, il cammino spirituale che indicava sempre nei suoi colloqui; il segnale di voler giocare con te, perchè so Don I non era il prete che giocava a calcio, pallavolo o grandi giochi era però capace a fare le parole crociate, gli scacchi, giochi da tavolo o stare a osservare come giocavi per poi farti il “breathing” se eri violento, se parlavi male, se eri isolato, se avevi il broncio. Quante volte mi ha ripetuto “se noi preti giochiamo coi ragazzi ai ragazzi sarà più facile venire a parlarci!” Il gioco non come perditempo o distrazione ma come luogo di relazione, di vita vissuta per un ragazzino. Don I era maestro teorico e pratico di gioco.
Mani forti e callose; le sue mani con le quali spesso copriva la faccia mi ricordano due cose apparentemente opposte in un prete ma che erano unite in don I; mani che hanno assolto centinaia di persone attraverso il ministero in cui Don I eccelleva; il ministero della misericordia, la riconciliazione. Sì don I era noto soprattutto per essere un confessore e un Padre Spirituale. Dopo gli anni della preadolescenza e adolescenza a Monteleco in cui rimasi affascinato dall’entusiasmo e dall’energia di Don Ga, senza nulla sapere del suo ministero me lo ritrovai in seminario che faceva appunto il padre Spirituale nominato ufficialmente dal Card Siri. Sulla confessione mi aveva sempre sollecitato quando ero capogruppo a Monteleco “te la senti di confessarti oggi?” “certo!” ma il povero don I non sapeva con chi aveva a che fare; veniva infatti proprio quel giorno a trovarci Don Tubin, il mio parroco da cui mi confessavo, e mi confessai da lui.….…… Lui riprese il discorso “ma io volevo insegnarti che non ci si confessa per il prete ma da qualunque prete, perchè quel che importa è l’amore di Dio: se un giorno cambi parroco come farai?” io annuii .… mi stava insegnando la differenza tra sacramento e direzione spirituale. Quando lo incontrai in seminario dunque lo scelsi come direttore spirituale. Furono cinque anni di incontri settimanali. Povero don I!! Quanto dovette frenare la mia irruenza, non certo di carattere, ma di sicuro teologica. Don I era confessore, padre spirituale, confidente. Da lui la gente andava sul sicuro di incontrare la carezza di Dio, un amore di cui lui parlava sempre con grande convinzione. Un amore dispensato specialmente a chi non ne aveva avuto molto dalla vita. E don I lacrimava a raccontare certe storie dei ragazzi. Quelle mani hanno assolto e benedetto e consacrato quante volte!!! Ma erano anche mani da lavoratore; il lavoro manuale dell’economo a caricare, scaricare, guidare, fare i lavori più disparati perchè alla fine si occupava di tutto in colonia. E poi i suoi famosi conti incolonnati, retaggio del Tortelli, liceo tecnico di ragionieri dove insegnava religione. Uomo di fatica e di pensiero.
La lettura del Giornale Avvenire; appena finito il pranzo o subito dopo il riposo tu eri sicuro di trovare Don I assorto nella lettura del giornale, inforcando gli occhialini di sghimbescio. E sì perchè don I e don Ga son famosi perchè aiutavano i ragazzi più poveri, perchè lavoravano con le assistenti sociali (Don I ne conosceva tantissime ed erano sue amiche), perchè inventavano giochi, erano simpatici e aperti, ma in realtà i due erano soprattutto due uomini di straordinaria cultura e intelligenza. Fu don I a raccontarmi la storia della Diocesi di Genova a parlarmi dei Moglia, dei Guano, dei Costa, dei Lercaro e senza mai dire una parola storta sul Cardinale Siri anzi svelandomene sempre il lato più buono e aperto alle novità. Don I era aggiornato sempre, competente nella pedagogia cosi come in tante altre cose. Reggeva qualunque discorso. Ma tutti sempre giustificava con una carità che tutto vede e tutto sopporta. Quando esageravo nell’adorazione a Don Ga mi faceva notare i limiti ma si vedeva bene quanto bene gli volesse anche quando non era d’accordo su qualcosa, potevano essere idee teologiche o quanti chili di pasta buttare.
Qua mi fermo, anche se gli aneddoti da raccontare sarebbero infiniti. Ammetto che già da ragazzino credo di averlo fatto ammattire, ma lui non si agitava mai; e poi da seminarista! Una volta io tornavo a torso nudo (in agosto) dall’ennesimo viaggio in macchina a far la spola dal Leco a portare ragazzini mi disse ridendosela di gusto “Signor Chierico Le do il permesso di non portare la sottana!” Quando mi mandarono a Monteleco credo che si aspettasse qualche ex chierico un po’ meno estroso, ma sò che ero nel suo elenco proposto al Vescovo. Pochi anni prima ero salito a trovarlo al Leco da curato a Struppa, era da poco mancato don Ga e lui accovacciato sullo scalino della Chiesa come spesso faceva, praticamente a terra mi disse una frase del tipo “ tutto questo lo porterà avanti chi verrà dopo” e mi guardò coi suoi occhioni.….….…..”Dai don che ora tocca a te” credo di aver risposto ma fui molto colpito dal suo sguardo. Uno sguardo di cent’anni e che non si spegne. Don I, don Ga dal cielo accompagnateci!!!
Don Fully