Cari amici, mentre mi leggerete io mi troverò in Repubblica Centrafricana insieme ai due diaconi Don Gabriele Barbieri e don Francesco Quell’Oller. Rientrerò, Dio permettendo, il 13 gennaio per ripartire il giorno 17 gennaio per Cuba da dove rientrerò il 25 gennaio. Sempre con i due diaconi che rimarranno a Cuba per due mesi.
Gironzolone!!! Ma perché tutti questi viaggi? Cos’è questa storia delle missioni? Perché il Centrafrica? E perché andare in missione? Non è una vecchia idea di una chiesa che va a fare proseliti e aiutare i poveretti? Non abbiamo un’altra idea oggi di Fede? Con l’ecumenismo che ci dice che in ogni religione c’è qualcosa di luce messavi da Dio stesso che senso ha ancora andare a parlare del Vangelo? E poi non si rischia di andare a trasmettere più che altro la nostra malata società occidentale a popoli che avrebbero bisogno di qualcosa di più fresco e stimolante che vecchie democrazie dove oramai nessuno va nemmeno a votare? E poi l’obiezione più comune: ma con tutto il bisogno che si ha qua a Genova perché pensare alla missione?
Ho ben tre risposte a tutte queste domande! Non capita a tutti i Movimenti di avere un assistente che da risposte!!! Saranno quelle giuste?
- La prima è semplice: andiamo in Centrafricana perché uno dei due diaconi, Francesco di Pontedecimo è figlio di una coppia di missionari laici che hanno dato la vita per l’Africa e il Sudamerica lavorando molto con i frati cappuccini; ancora oggi, che Flavio è mancato da oltre dieci anni, essi vivono nel convento di Pontedecimo organizzando spedizioni di solidarietà con le missioni. Andiamo dunque in luoghi che Francesco ben conosce, a fare un po’ un pellegrinaggio nei luoghi di suo padre, visitando le missioni. Ma naturalmente, quantunque meravigliosamente romantico e emozionante, tutto ciò non basterebbe come motivazione per andare là. In realtà si sta sviluppando tra le due diocesi (non c’entrano dunque i cappuccini) una collaborazione di alto livello, soprattutto per ciò che riguarda la formazione del clero africano. L’obiettivo è formare una chiesa africana in Africa, che non “dipenda” più dall’occidente ma che, rimanendo in profonda comunione con “Roma”, possa avviarsi a una dimensione propria. Lavoro dunque che guarda molto lontano. Saremo ospiti del Vescovo di Bouar, insomma una spedizione anche a livello diocesano. A Cuba inutile che vi spieghi: abbiamo lì la nostra missione e quindi visiteremo il clero di quella diocesi, il Vescovo Arturo che ormai è anche il presidente della Conferenza episcopale cubana. Ecco dunque perché Centrafrica e Cuba e non Angola e Guatemala……..
- La seconda è un po’ più complessa e meriterebbe libri ma tento di sintetizzare. Un libro andava molto di moda una quindicina di anni fa: “l’opzione benedetto”. Facendo leva sulla omonimia col Papa Benedetto 16° faceva balenare l’idea che fosse un’opzione di quel Papa. In realtà il libro era molto bello e proponeva come modello delle nostre comunità la formula benedettina degli antichi monasteri dove c’era “l’ora et labora”. Un libro con spunti molto belli e che dovrebbe essere ben letto dalle nostre litigiose comunità parrocchiali ed ecclesiali che fanno così fatica a individuare tre cristiani che si vogliano bene rimanendo ognuno se stesso. Tuttavia, per alcuni era un invito ai cristiani a “ritirarsi”, a vivere come nei conventi, “pochi ma buoni” a fuggire dal mondo per vivere quella spiritualità che Gesù ci insegna e ad essere così dei segni in mezzo al mondo che veniva un po’ lasciato fuori, e che poteva al massimo avvicinarsi ed entrare. Poi arrivò Francesco, che prendendo spunto anche da quella idea bella del libro subito ci liberò dall’ossessione di essere in tanti, dei numeri, ma anche dall’ossessione di essere perfetti. Perché i “pochi ma buoni” lo si vede bene nei gruppi giovanili in cosa si trasforma: in “singoli e mal combinati…” . A forza di selezionare le pecorelle si arriva ad averne una e le novantanove fuori ma le attenzioni le dedichiamo a quell’una. Francesco, continuando l’opera di Papa Benedetto ha rimesso la Chiesa in atteggiamento missionario, non ripiegata su se stessa, ma pronta a donare la vita per il mondo, a essere segno di un amore più grande, fiduciosa che la storia non la guida né Putin, né XI Jinping o Trump, ma lo Spirito Santo. “Uscire” non vuol dire fare proseliti ma donare, fare esodo, vivere in atteggiamento di dono, con una comunità che non sarà perfetta ma è occupata ad amare gli uomini, a essere punto di riferimento per un’umanità alla ricerca di senso e di luce; ospedale di campo, dice Papa Francesco, senza muri nè cinte come avevano i conventi (ma li avevano? O erano invece centri aperti alla società che la contaminavano e ne diventavano fulcro?) Anche sull’ora et labora di San Benedetto forse dovremmo studiare di più.
- Eccoci allora all’ultimo punto. Missionari non vuol dire andare a insegnare l’italiano, l’inglese, francese o più modernamente russo, cinese, arabo ad altri popoli presumibilmente privi di cultura. Significa portare nella nostra vita lo stile del dono e nelle nostre comunità lo stile dell’incontro dell’apertura, del coinvolgimento, del lavorare insieme. E allora sì, certo, nello stile del dono c’è la condivisione. Il Centrafrica è il paese più povero al mondo, Cuba vive una crisi mai avuta in precedenza, non c’è nemmeno la luce elettrica. Si aiuta e si aiuta attenti a non far coincidere l’aiuto con l’obbligo della fede. E poi ricordiamo don Ga con semplicità: “un gelato è buono, due gelati sono molto buoni, tre gelati: a qualcuno manca un gelato”. Il Vangelo non predica una sobrietà che un “mangione e beone” non poteva imporre e che prese le distanze da Giovanni il Battista, ma predica la condivisione che moltiplica!!!! Portare il Vangelo a popoli poveri? Portategli dei soldi!!!! Il Vangelo è l’unica vera ricchezza che abbiamo, e quello cerchiamo di condividere e, poi, anche quel che abbiamo. Ma la vera forza è il Vangelo, è solo la Parola di Dio che ci rende liberi, che ci libera, che ci dà senso della dignità umana. Primo condividere il Vangelo che non è un libro ma una presenza. E’ una presenza che ti spinge a cambiare la vita e il mondo. Che ti spinge a cambiare l’economia perché solo cambiando il modo di relazionarsi degli uomini, assumendo il paradigma della fraternità, si potrà liberare tanti popoli dalla fame e dalla sottomissione. Perché l’economia non è altro che il relazionarsi degli uomini, non il demonio. Discorso lungo, non c’è tempo. Insomma, si portano i seminaristi in missione non per mandarceli o addirittura come (sigh!) mi disse uno una volta per punizione! Ma per avere una mentalità missionaria, per avere comunità che, come” l’opzione benedetto” dice, si amano e si relazionano con Gesù al centro (con la Trinità al centro perché l’azione è della Spirito verso il Padre) ma che si aprono al mondo amandolo e donando ciò che hanno ricevuto in dono, un dono che è impossibile imprigionare tra mura siano esse di pietra, ideologiche o psicologiche. Usciamo da noi stessi!!!
E per finire: tutto questo , con grande modestia, noi possiamo dire che a Monteleco lo facciamo da più di cinquant’anni perché questo era il messaggio del Concilio e l’abbiamo respirato grazie a quei due grandi giganti della Fede che erano don Ga e don I. Se volete ve lo spiego……ma non credo ci sia bisogno che vi scriva centinaia di pagine!!!
Don Fully