Quando avevo tra i 24 e i 36 anni e venivo a Monteleco con San Siro di Struppa mi dedicavo soprattutto a organizzare i tornei, giochi del mattino e quelli sportivi; li organizzavo, li arbitravo, giocavo nelle squadre, dettavo i tempi facevo in modo, ad esempio, che le partite finissero esattamente quando la mia squadra aveva segnato il punto vincente (erano squadre in genere che non vincevano mai e mi pareva anche giusto!) insomma, ero concentrato sul gioco.
Dai 37 ai 50 ho smesso di giocare nelle squadre ma a fine giornata mi tuffavo in mezzo ai ragazzi nel partitone finale o nel pomeriggio facevo parte di una squadra o l’altra nel grande gioco facendo da supervisore, dando indicazioni, animando. Concentrato insomma nell’ora del pomeriggio.
Tornato da Cuba oramai, per così dire, sul viale del tramonto mi sono invece concentrato sull’ora del lavoro: Individuo alcuni punti della colonia bisognosi di ripulite o di fare cose, mi metto i guanti, prendo gli attrezzi e aspetto che arrivino i ragazzi; devo dire ben felici di lavorare, zappare, scaricare, diserbare, camallare. E’ vero che ci sono i pigroni, quelli disabituati a qualsiasi manualità o fatica ma ci sono anche quelli che rifioriscono a prendere un attrezzo in mano, anzi te lo chiedono e naturalmente, poiché è l’esempio che conta, vogliono usare proprio quelli che usi tu, in genere un po’ pericolosi. Ho visto ragazzi stranieri zappare come fossero davanti a un videogioco: con entusiasmo! “facevo così a casa mia!” “mio nonno me lo faceva sempre fare”.
Posso immaginarli assai bene essendo stato tanti anni professore seduti al banco di scuola davanti all’Eneide o a qualche altro brano, accasciati o con la testa tra le mani disperati. Ma se gli dai qualcosa da fare ecco che si rianimano e riprendono il sorriso, imparano.
Del resto l’ora del lavoro a Monteleco ha un significato ben preciso: non è solo funzionale di servizio come in altri mille campi di questo mondo o funzionale alla libera Repubblica dei Ragazzi che deve naturalmente mantenersi da sola; ma è proprio una vera educazione al lavoro, al senso del lavoro. Ecco perché cerco sempre di fargli fare cose che abbiano senso e non solo “per tenerli occupati”. Cerco di farli lavorare insieme, di apprendere, a darsi da fare a valutare il loro lavoro, perché poi , sì in effetti, la paga c’è, sono le fiche e questo loro lo sanno bene, tant’è che sono subissato da ragazzini che mi chiedono “posso venire a fare il lavoro extra che prendo fiche per la mia squadra? Ho finito il mio …” Si insegna a riportare tutto a posto a finire bene il lavoro! E poi …. C’è il fischio! L’ora del lavoro è finita! Si gioca! Il lavoro non è tutto. E vi garantisco che non sono isolati i ragazzi che chiedono “ma posso lavorare ancora un po’?” “posso rimanere qua a lavorare con te?” perché il gioco spaventa, la relazione con l’altro mette in difficoltà, la vita da affrontare dà panico. Lavoro come alienazione, chiusura…..sfruttamento. Insomma intorno all’ora di lavoro di Monteleco girano intorno le tematiche stesse della nostra vita. Che senso dare al nostro operare? Che senso ha l’attività umana? E il riposo? E il salario? Quando fu fondata la libera Repubblica dei Ragazzi non dimentichiamo che nasceva contemporaneamente una libera Repubblica fondata sul lavoro…. I nessi evidentemente ci sono! E il lavoro visto da un’ ottica socialista o da un’ottica liberale ha sfumature differenti. Siamo nel cuore dell’umano. Ed è quindi questione educativa e pedagogica, non tecnica e strumentale.
Certo se arrivasse in quell’ora un ispettore del lavoro e vedesse tutti sti minorenni con ramazze, forbici da siepi, zappe, pale, guanti, carriole (siamo assicurati non temete e questa come avete capito è attività didattica conforme ai nostri standard assicurativi) inizierebbe a storcere il naso. I ragazzi puliscono le canalette scola acqua …… puliscono il bosco …… i fiumi ….. tagliano legna e la spostano sfruttamento minorile!!! E tra l’altro senza paga!
Non crediate che non mi sia venuto il pensiero. Spesso poi son ben ben colorati e allora l’idea dello schiavismo e razzismo si insinua.
Perché vi parlo di queste cose? L’ora di lavoro a Monteleco, lo sappiamo bene, è educativa e educa il ragazzo alla manualità, a rimboccarsi le maniche, al rispetto, all’impegno, al sacrificio, alla giustizia etc etc etc….
Ne parlo perché come Presidente della Consulta Diocesana dei minori (a proposito lo sapete che il vostro Fully/Fuliggine montelechino è diventato Presidente della Consulta dei Minori, ovvero una quindicina di realtà nate dalla passione per l’uomo che insegna il Vangelo e che si occupano di minori fragili e in difficoltà con comunità residenziali, diurne, centri aggregativi? E’ anche Presidente dell’opera Benedetto XV quella che tutti chiamano “di Suor Lucia”? Gli hanno rinnovato per tre anni l’incarico di Coordinatore della Pastorale giovanile e Vocazionale? E pure lo hanno fatto Canonico nella scia di don I che era canonico pure lui?.Ho portato il saluto a un convegno tenutosi in regione proprio sul tema del lavoro minorile. Non per denunciarne la piaga ma per avere possibilità di far fare stage lavorativi anche prima dei 16 anni, a ragazzini di 14–16 anni che in questo modo apprendono maggiormente e si inseriscono nel mondo del lavoro invece che fare i pluri-ripetenti alle medie o i nulla facenti nel biennio delle superiori. L’iniziativa era della Casa dell’Angelo che evidentemente sperimenta sul campo questa esigenza.
Argomento delicato come ha sottolineato il presidente del tribunale dei minorenni della sezione Minori e famiglie del Tribunale di Genova Domenico Pellegrini; non dimentichiamo che se mangiamo la salsa italiana è perché i pomodori al sud vengono raccolti da bambini anche di 6–7 anni! Una volta chiarito tutto questo si può pensare a forme educative per far si che i ragazzi non debbano stare fermi in un banco di scuola ma apprendere a usare le proprie gambe e mani inserendosi nel mondo del lavoro al momento giusto.
Qualcuno potrà obiettare che così si amplia la forbice fra chi è destinato a studiare e a diventare “in”, il teorico della situazione e chi dovrà fare il manovale, la manodopera magari a basso prezzo a favore di chi è “in”. Si perde il sogno di avere un popolo di laurati che siano disposti poi a giocare la loro manualità e non a star seduti a tavolino dietro uno schermo illudendosi di guidare tutto da lì. Si perde il sogno di far si che tutti leggano e sappiano far di conti e non siano perciò disposti a che qualcun altro legga per loro e faccia i conti al loro posto. Utopie? Realtà? Ma quale è la realtà? Già ora la pattuglia di chi sa scrivere e leggere oltre il whatsapp e altre diavolerie simili si è notevolmente assottigliata. Lo status quo vuol dire affondare lentamente nelle paludi dei vari Trump e company cantante o meglio contante. E l’irlandese dal ciuffo improponibile è solo la punta dell’iceberg di un mondo ahimè diffuso, la macchietta messa lì per buttarla sul ridere ma da ridere c’è ben poco. Rischiamo di affondare nella melassa digitale, fatta di tv, internet, cellulari controllati da pochi. Ragazzi capaci di lavorare con gusto, con manualità, consapevoli dei propri doveri e diritti, che trovano un senso al loro operare sono l’antidoto contro questo mondo che inneggia alla guerra. Non studiare percorsi educativi per loro sarebbe farne carne da macello alla mercè di chi li domina attraverso il cellulare e internet.
La libera Repubblica dei ragazzi continuerà a proporre a tutti i ragazzi dagli otto (o prima!!) la bellezza del lavorare insieme, di impegnarsi a trasformare il mondo, nella libertà, nel rispetto, nella compartecipazione, sperando che questa iniezione di fiducia in sé stessi e in un mondo più bello possa garantirgli una vita che ne vale la pena.
Don Fully